Storia del vino

L’azienda si pone come obiettivo quello di promuovere la cultura millenaria del vino campano, che affonda le sue radici in un tempo molto lontano.

La vite è specie autoctona del territorio italiano e, quindi, non importata da altri Paesi. La viticoltura romana trae origine dalla cultura greca ed etrusca. In molti casi le viti erano tenute allo stato selvatico, dalle popolazioni locali. I Romani conoscevano le tecniche per la coltivazione della vite e per la vinificazione, poiché le avevano apprese da Greci e Cartaginesi. Addirittura, già all’epoca degli Etruschi, intorno al V sec. a.C, la penisola Italica era conosciuta come “Enotria”, cioè produttrice di vino.

Piantagioni specializzate nacquero inizialmente in Campania, alle pedici dei monti Petrino e Massico, da cui proveniva il Vinum Falernum.

Il vino, in epoca romana, era presente in ogni banchetto, diluito con acqua calda o fredda, in base ai gusti ed alla stagione. Inoltre, spesso, i vini venivano insaporiti o cotti, per evitare che inasprissero. Il “magister bibendi” non poteva sorseggiare la bevanda e aveva il compito di stabilire quante parti di acqua vi si mescolavano. Gli “haustores” classificavano i vini in base alle loro qualità e al loro utilizzo. Per i Romani il vino aveva un significato religioso, ben diverso rispetto alla cultura greca (simposio), dove, invece, colui che beveva era posseduto dal vino e dalle divinità. Era considerato come una vera e propria bevanda e veniva servito insieme a carni ed altri cibi. Oltre che nelle case, i vini si bevevano al “thermopolium“, una piccola locanda con un bancone, nel quale erano incassate grosse anfore di terracotta, adatte a contenere le vivande. I brindisi propiziatori erano molto comuni all’epoca romana.

Dapprima i diversi tipi di uva da vino più famosi a Roma erano di origine greca, coltivati in Sicilia e nella Magna Grecia, le “Aminee” e le “Nomentanae“. Erano uve colorate, da cui si ricavavano vini pregiati. Le “Apianae Apiciae” erano uve a sapore moscato, molto aromatiche, che quando erano mature attiravano le api. Viti più produttive e resistenti provenivano dalle province, come la “Balisca”, la “Rhaetica” e la “Buririca“, che ha dato origine ai vigneti di Bordeaux. Sempre presente era la vite “Labrusca“, ossia selvatica, dalla quale si ottenevano vini di qualità più scadente. Plinio il Vecchio scrive nella “Naturalis Historia” che almeno due terzi della produzione totale proveniva dall’Impero ed elenca 91 vitigni diversi con 195 specie di vini. I vini più diffusi nell’antica Roma provenivano dal Lazio, dalla Campania e dalla Sicilia. Alla fine della repubblica erano noti e ricercati il Falernum, il Caecubum e l’Albanum. Eccellente reputazione ebbero anche i vini di Setia e di Sorrento, il Gauranum, il Trebellicum di Napoli e il Trebulanum.

A Roma il commercio del vino era un’attività molto comune. Il primo vino ad ottenere grande fama fu il Falernum, intorno al 120 a.C. Secondo Plinio il Vecchio i vini italiani cominciarono a diffondersi dopo l’anno 600 di Roma, con l’arrivo in Italia di schiavi orientali, più esperti dei romani, che introdussero nuovi vitigni di qualità e diffusero nuove tecniche viticole. Già nel III sec. a.c. l’Italia cominciò anche ad esportare il vino. Nel II secolo d.C. i raccolti divennero sempre più abbondanti, fino a raggiungere livelli di vera e propria sovrapproduzione. E cosi, come i Greci avevano portato la cultura della viticoltura in Italia, così i Romani la trasmisero nel resto dell’Europa.

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