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La tradizione enologica della Campania ha origini molto antiche che risalgono ai tempi della Magna Grecia, quando la vite arrivò per la prima volta in Italia. Furono i Greci ad introdurre nella nostra terra i semi della “vitis vinifera” e ancora oggi molte delle tecniche di coltivazione e potatatura utilizzate sono quelle da loro tramandate. Tuttavia è grazie agli antichi Romani che si poterono sviluppare appieno le potenzialità vinicole dei territori vesuviani, caratterizzati da un suolo sabbioso dovuto al deposito di cenere e lapilli, che determinano una grande permeabilità e quindi favoriscono la penetrazione delle radici delle piante. Pompei assunse un’importanza elevata e si trovò, in breve tempo, al centro del commercio di vino in tutto il mondo antico. Nel corso del Medioevo, grazie al lavoro dei monasteri e dei contadini del territorio, fu possibile ridare vita alla produzione vinicola e produrre per la prima volta il famoso Lacryma Christi.
Negli scavi moderni sono state ritrovate molte vigne all’interno delle mura che testimoniano la grande importanza che aveva la produzione di vino nell'antichità. Il vino era parte essenziale di ogni banchetto, per lo più diluito con acqua e berlo puro non era considerato di buon gusto, sia perchè le cene abbondavano di brindisi, sia perchè all’epoca erano maggiormente alcolici. I vini romani più pregiati venivano invecchiati, anche più di 100 anni, ma la maggior parte dei vini venivano modificati con l’aggiunta di acqua di mare, spezie, gesso, profumi, ostriche tritate. A Pompei si produceva tra gli altri il “vinum pompeianum” che veniva invecchiato anche 25 anni. Alcune famiglie pompeiane si erano specializzate nella viticoltura e facevano invecchiare nelle cantine le anfore di “mulsum”, un vino dolcificato con l’aggiunta di miele.

Negli anni '90 nasce a Villa dei Misteri, grazie alla proposta dell'Azienda Mastroberardino, un programma di ricerca finalizzato ad una indagine sui metodi e sulle tecniche di viticoltura e vinificazione nell’antica Pompei, e alla riproduzione di alcune delle fasi più importanti del processo. Le indagini archeologiche e gli studi botanici hanno permesso di confermare la presenza di tale coltura anche all’interno della cinta muraria della città, soprattutto nei quartieri periferici nei pressi dell’Anfiteatro. Nel 2001 si è avuto il primo raccolto significativo con la prima vinificazione e l’affinamento del Villa dei Misteri, prodotto in 1.721 bottiglie che vennero messe all’asta e il cui ricavato venne utilizzato per la restaurazione della cella vinaria presente nel sito del Foro Boario: essa è un piccolo edificio con 10 “dolia” interrati, grandi contenitori in terracotta dove avveniva il processo di vinificazione. Per le prime dieci annate del Villa dei Misteri l’uvaggio è costituito da Piedirosso al 90% e Sciascinoso al 10%. A partire dalla vendemmia 2011, attualmente ancora in affinamento, il vino è invece ottenuto dall'unione di tre diverse varietà: Aglianico 40% circa, Piedirosso 40% e Sciascinoso 20%.

La storia della nostra terra è una storia di grandi civiltà e grandi uomini. Qui la vite, importata dai Greci, crebbe rigogliosa donando uve di alta qualità e gli antichi Romani produssero vini celebrati da poeti e scrittori. La passione dell’uomo sfidò la natura ed i vigneti risalirono le pendici del Vesuvio affondando le radici nel suo cuore ardente, in quel fuoco che nel 79 d.C. calò sull’antica Pompeii e la rese eterna. Nel 1567, un ramo della dinastia fiorentina dei Medici, si trasferì nel Regno di Napoli, acquistandone un feudo. Luigi de’ Medici, Primo Ministro del Regno, desideroso di arricchire la cantina della residenza napoletana con nobili vini del feudo, affidò al nipote prediletto Giuseppe de’ Medici il compito di elevare la qualità dei vini di famiglia. Questi impiegò ingegno e capitale nell'”immegliamento” del vino vesuviano ed in pochi anni svolse il compito assegnatogli in modo magnifico. Da allora l’omonimo vigneto è stato sempre indice di qualità superiore, e l’Azienda Agricola Bosco de’ Medici, dopo anni di sola coltivazione e cura dei terreni, ha scelto di vinificare in proprio le uve e far rivivere con i propri vini i fasti di una tradizione senza tempo. La passione del nonno Raffaele, ha portato Giuseppe, Emiddia, Sonia e Lella ad inaugurare un progetto enologico, volto alla chiara identificazione del Vesuvio in quanto territorio unico, essendo l’unico vulcano attivo in Europa continentale. Condizioni climatiche e di giacitura che impongono una lettura autonoma e “artistica”, al fine di produrre vini che siano espressione chiara del contesto. Pur essendo il progetto Bosco de’ Medici la realizzazione di un sogno che viene da lontano - quello del nonno Raffaele - è anche un’azienda condotta da giovani, in quanto tale, l’aspetto sperimentale e la voglia di trovare nuove soluzioni e interpretazioni di stilemi tradizionali, sono onnipresenti nelle soluzioni enologiche proposte. Nasce così il Dressel 19.2, un Caprettone in anfora (primi sul Vesuvio a riscoprire quest’antico strumento di vinificazione). Otto ettari di vigna, divisi in piccole particelle, su cui sono in atto studi agronomici, al fine di introdurre una “zonazione” aziendale, da riportare, laddove le caratteristiche siano peculiari, nei futuri vini. Sulla base di ciò, è stata realizzata la piccola cantina, con silos di acciaio di dimensioni ridotte, al fine di poter affinare separatamente il prodotto proveniente dalle singole parcelle. Il progetto enologico ha un’impronta “sostenibile”. Abolito uso di prodotti di sintesi, si opera nel totale rispetto del terroir, secondo stilemi che dal biologico, si traducono antroposoficamente in una conduzione biodinamica del parco agricolo aziendale. Tengono tantissimo anche alla trasmissione di tali concetti, non solo attraverso i vini, ma anche con un programma di trasmissione della cultura biodinamica. Nasce così la vigna didattico/sperimentale. Un vigneto di circa mezzo ettaro, posto all’interno della tenuta pompeiana di Bosco de’ Medici. Un luogo dove gli ospiti, oltre a poter apprezzare la crescita di tutte le varietà ampelografiche coltivate in azienda, potranno imparare tutto sulla strumentazione, le tecniche e i prodotti utilizzati per la viticoltura. Infine, sono tra i primi in Italia a sperimentare la radiestesica. Una tecnica d’implementazione della conduzione biodinamica, basata sulla diffusione di radiofrequenza di sostegno alla vigna.



I vigneti dell'Azienda Agricola Bosco de' Medici s.a.s, suddivisi in vari appezzamenti, si trovano nei comuni di Terzigno, Boscoreale e Pompei e sono tutti coltivati con vitigni autoctoni allevati con tecnica a spalliera e a tendone. Piedirosso, Aglianico, Falanghina e Coda di Volpe (detta anche “Caprettone”) sono le varietà che vengono prodotte e che meglio rappresentano l’essenza del territorio. Data l’unicità dei terreni, di origine vulcanica e quindi particolarmente sabbiosi e ricchi di minerali, la gran parte delle viti è a “piede franco”, perchè immune al parassita della fillossera, e in molti casi ha un’età che supera il secolo di vita.
“La rotonda” è il vigneto principale e con i suoi quasi due ettari è il più esteso. Affonda le radici su una collinetta a sella d'asino, formata dalla sovrapposizione di due colate laviche. Prende il nome dalla sua forma circolare ed offre una magnifica vista panoramica che dal golfo di Napoli si spinge fino ai comuni della provincia di Salerno. La parte più vecchia risale ad un periodo compreso tra gli anni '50 e '60, mentre la parte più bassa del vigneto risale agli anni '80 ed è totalmente dedicata alla coltivazione dell’uva Piedirosso (localmente detto Per e’ Palumm o Palumbina per il grappolo che ricorda un piede di colombo), dalla quale nasce l'I.G.T. Pompeiano “Pompeii” e il Lacryma Christi Rosso “Lavarubra”. Infine poco meno di mezzo ettaro è stato impiantato circa tre anni fa ed è utilizzato per il Caprettone.